La guerra alla droga all’estero

Le conseguenze negative della guerra alla droga del governo degli Stati Uniti non si fermano soltanto ai confini nazionali.

Il governo americano, infatti, ha messo gli occhi sul mercato internazionale della droga. Combattendo le droghe illecite anche all’estero, in questo modo spera di ridurre il flusso, la vendita e il successivo uso di droghe negli Stati Uniti.

Inoltre, tramite il suo supporto ai governi stranieri nell’interdizione alla droga, il governo degli Stati Uniti mira a mantenere gli equilibri regionali, ad interrompere i sindacati criminali internazionali che minacciano la sicurezza nazionale e internazionale e a spingere le entità estere a intraprendere politiche in linea con i suoi interessi.

La politica internazionale sulla droga non è una nuova arena per gli Stati Uniti.

Nel 1909, la Commissione Internazionale sull’Oppio, nota anche come Commissione sull’Oppio di Shanghai, si riunì per discutere sulla produzione di oppio in Asia.

La Commissione e le politiche, che la circondavano, includevano una grande varietà di paesi, inclusi gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Cina, l’India, Hong Kong, Singapore e Persia (Iran) .

Gli sforzi internazionali moderni nella lotta alla droga dipendono da tre trattati chiave delle Nazioni Unite: la Convenzione unica del 1961 sugli stupefacenti, la Convenzione del 1971 sulle sostanze psicotrope e la Convenzione del 1988 contro il traffico illegale di stupefacenti e sostanze psicotrope.

Seguendo le orme di Richard Nixon, il presidente Ronald Reagan ha emesso la Direttiva sulla sicurezza nazionale n. 221, “Narcotici e sicurezza nazionale”, che ha posto gli sforzi internazionali di interdizione della droga in prima linea nella politica statunitense sulla droga.

Anche le successive amministrazioni hanno seguito questa tendenza.

Nel 2010, ad esempio, sia il governo del Messico che quello degli Stati Uniti hanno aderito all’iniziativa Mérida, che mira a combattere la droga e il traffico illegale lungo il confine tra Stati Uniti e Messico e in tutta l’America Centrale.

Tra il 2008 e il 2014, il Congresso ha autorizzato pagamenti per 2,4 miliardi di dollari al Messico per l’Iniziativa Mérida.

Più o meno nello stesso periodo, furono creati il partenariato per la sicurezza dei cittadini centroamericani e l’iniziativa per la sicurezza centroamericana, poiché il governo degli Stati Uniti riferì che l’80% della cocaina diretta negli Stati Uniti (attraverso il confine messicano) si trovava, ad un certo punto, in Belize, in Costa Rica , in Honduras, a El Salvador o in Brasile.

Tra il 2008 e il 2014, il Congresso ha stanziato 803,6 milioni di dollari di assistenza regionale a questi programmi.

La Caribbean Basin Security Initiative (CBSI), lanciata nel 2010 a seguito di un incontro tra gli Stati Uniti e 15 nazioni caraibiche, ha cercato di ridurre il traffico di droga negli Stati Uniti, in Europa e in Africa.

Il Congresso ha anche messo sul piatto 327 milioni di dollari di assistenza internazionale per sostenere questa iniziativa tra il 2010 e il 2014.

Nel 2011, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha supportato la West African Cooperation Security Initiative (WACSI), un’altra organizzazione contro la droga, con circa 60 milioni di dollari di sostegno.

Il divieto su scala globale delle droghe è la motivazione principale che si nasconde dietro questi programmi.

Come evidenziato dai risultati negli Stati Uniti, ci si può giustamente aspettare che queste politiche internazionali abbiano portato a una serie di conseguenze indesiderate.

Queste conseguenze sono illustrate chiaramente nell’occupazione americana dell’Afghanistan e negli sforzi associati per sradicare la coltivazione dell’oppio.

La guerra alla droga in Afghanistan

L’economia del proibizionismo è fondamentale per comprendere lo sforzo fallito degli Stati Uniti di costruire istituzioni politiche, economiche, legali e sociali stabili all’estero.

A causa della negligenza e delle intuizioni, spesso sbagliate, dell’economia, il governo americano ha continuamente adottato politiche che si sono rivelate controproducenti per i suoi obiettivi “più ampi”, come l’antiterrorismo.

Dall’invasione statunitense, avvenuta nel 2001, l’Afghanistan ha vissuto tre fasi della politica sulle droghe imposta dagli Stati Uniti.

Ciascuna fase ha visto il coinvolgimento del divieto di droga, in particolare dell’oppio e del papavero da cui deriva.

Nelle prime fasi dell’occupazione, le forze statunitensi hanno sostenuto il divieto nazionale, ma non si sono mai impegnate attivamente nell’attuazione di questi programmi.

Nei fatti, le forze statunitensi hanno lavorato a fianco dei signori della guerra locali, che controllavano in gran parte il traffico di droga del paese.

In cambio dell’aiuto nella lotta contro i talebani, gli Stati Uniti hanno chiuso un occhio sulla tratta.

Dopo questa fase, gli Stati Uniti sono passati alla tolleranza zero nei confronti dell’oppio e delle altre droghe illegali.

Le forze statunitensi non solo hanno cercato di sradicarle completamente dal Paese, ma in più si sono impegnate in modo attivo nella lotta alle droghe in Afghanistan.

Nella terza fase, la più recente, la politica si è spostata ancora una volta per concentrarsi sul fornire a coloro che operano nell’industria farmaceutica “mezzi di sussistenza alternativi”, ma il governo americano sta continuando a perseguire politiche di completa eradicazione, arrivando a finanziare i governi locali per portare a termine questi sforzi.

Le politiche statunitensi sulla droga in Afghanistan, come altre iniziative internazionali, pretendono non solo di ridurre il traffico di droga negli Stati Uniti, ma anche di raggiungere altri obiettivi politici.

Nel dicembre 2004, ad esempio, il tenente generale David W. Barno, il massimo comandante degli Stati Uniti in Afghanistan, dichiarò che la guerra alla droga era una delle tre guerre necessarie per vincere la guerra al terrorismo.

In particolare, le politiche contro la droga in Afghanistan sono visti da molti appartenenti al governo americano come necessari nella battaglia contro al Qaeda e gli insorti talebani, poiché questi gruppi traggono entrate significative dal traffico di droga illecito.

Thomas Schweich, coordinatore del Dipartimento di Stato americano per la lotta ai narcotici in Afghanistan, ha affermato che:

È tutto un problema. Non è più solo un problema di droga. È un problema economico, un problema politico e un problema di sicurezza “.

L’Afghanistan ha visto un massiccio afflusso di dollari dei contribuenti statunitensi volti a sradicare il traffico di droga.

Il Dipartimento della Difesa, ad esempio, ha più che triplicato il suo budget operativo per la lotta contro i narcotici in Afghanistan, passando dai 72 milioni di dollari del 2004 ai 225 milioni di dollari del 2005.

La maggior parte di questi fondi è stata utilizzata per sostenere gli sforzi congiunti di lotta alla droga di Afghanistan e America.

Anche il Dipartimento di Giustizia, il Dipartimento di Stato, il DOD e la DEA hanno intensificato le loro operazioni in Afghanistan.

Dopo aver riaperto il suo ufficio di Kabul nel 2003, la DEA ha costantemente ampliato la sua presenza, passando da 13 a a ben 95 uffici operativi.

Il budget della DEA in Afghanistan è quadruplicato, passando dai 3,7 milioni di dollari del 2004 ai 16,8 milioni di dollari del 2005, ed è aumentato ulteriormente, arrivando a 40,6 milioni di dollari, nel 2008.

Secondo il generale John Sopko, l’ispettore generale speciale per la ricostruzione dell’Afghanistan, il governo degli Stati Uniti ha, in totale, speso 8,4 miliardi di dollari per i suoi sforzi antidroga.

Tuttavia, nonostante le operazioni militari e i miliardi di dollari spesi, il governo degli Stati Uniti ha ottenuto ben poco dai suoi sforzi.

Le politiche antidroga in Afghanistan non hanno ridotto il mercato della droga a livello nazionale e sono state controproducenti per altri obiettivi politici degli Stati Uniti.

La coltivazione del papavero da oppio è quasi triplicata tra il 2002 e il 2013, passando dai 76’000 ettari del 2002 a un record di 209’000 ettari in tempi recenti.

Secondo le Nazioni Unite, l’Afghanistan ora produce circa l’80% dell’oppio illegale mondiale.

E l’economia dell’oppio in Afghanistan è più concentrata che mai nelle mani dei talebani.

La comparsa dei cartelli e i talebani

Le politiche statunitensi in materia di droga in Afghanistan hanno portato alla formazione di nuovi cartelli, che controllano il traffico della droga nel Paese, e rafforzato la rivolta talebana in diversi modi.

In primo luogo, gli sforzi di eradicazione hanno agito come una tassa sui produttori di oppio, imponendo costi aggiuntivi come multe, la reclusione e persino la pena di morte.

Questi costi più elevati hanno costretto i produttori più piccoli ad un graduale ritiro, lasciando i produttori più grandi a dominare il mercato.

Questi stessi produttori si sono sempre più integrati con i talebani, che hanno sviluppato un cartello sulla produzione di oppio del paese.

La forza trainante di questa integrazione è stata la prontezza imprenditoriale dei talebani.

Vedendo la possibilità di guadagno come risultato del divieto nazionale di droga, i talebani sono diventati uno sportello unico per tutte le esigenze dei coltivatori locali di papavero da oppio.

Inoltre, in risposta alla politica antidroga degli Stati Uniti, i talebani hanno cominciato anche a offrire protezione in cambio di una parte dei raccolti o dei ricavi degli agricoltori.

Di conseguenza, il commercio di oppio in Afghanistan è una delle principali fonti di entrate per i talebani e ha generato tra i 200 milioni e i 400 milioni di dollari all’anno dalla rinascita dei talebani, avvenuta nel 2005.

I combattenti talebani, che sono stati catturati, affermano che la produzione di papavero è la loro principale fonte di finanziamento operativo, compresi stipendi, armi, carburante, cibo ed esplosivi.

A proposito della criminalizzazione dei cittadini afgani

La terza conseguenza della politica statunitense sulla droga in Afghanistan è stata la criminalizzazione dei comuni cittadini afgani.

L’economia dell’oppio è una delle principali fonti di reddito per le persone in tutto il paese.

Secondo l’ispettore generale speciale per la ricostruzione dell’Afghanistan, il traffico di droga della nazione impiega più di 410’000 cittadini afgani a tempo pieno.

Questa cifra probabilmente sottostima il numero di afgani che lavorano nel settore, in quanto non include quelli coinvolti a tempo determinato o su base stagionale.

Per molte persone nel paese, la partecipazione all’economia della droga è l’unico mezzo per guadagnare un reddito sufficiente.

Un sondaggio del 2013, condotto dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, ha scoperto che il motivo principale per cui molti agricoltori afgani coltivano papaveri da oppio è l’alto prezzo dell’oppio, che fornisce un aumento del reddito, migliori condizioni di vita e la possibilità di permettersi cibo e un riparo di base.

Un agricoltore, ad esempio, ha spiegato che coltivare papaveri era l’unico modo per sbarcare il lunario.

La criminalizzazione di migliaia di cittadini afgani ha messo a repentaglio gli obiettivi stessi della politica antiterrorismo statunitense.

Etichettando questi individui come criminali e mettendo a rischio i loro mezzi di sussistenza, il proibizionismo ha generato cittadini scontenti e più che propensi a simpatizzare con i terroristi.

Di conseguenza molti afgani, ancora oggi, si schierano con i talebani, perché offrono loro protezione e una promessa tangibile di rappresaglia contro gli sforzi di eradicazione degli Stati Uniti.

Questa alleanza è rafforzata dal fatto che i comandanti talebani, anche quelli che operano nei piccoli villaggi, spesso ricevono centinaia di migliaia, se non milioni, di dollari di entrate, raccolte sotto forma di tasse dagli agricoltori e dai contrabbandieri dell’economia dell’oppio.

Il potenziale reddito ha spinto molti a unirsi all’organizzazione nella speranza di migliorare i propri mezzi di sussistenza.

I ricercatori della NATO stimano che i soldati talebani a contratto ricevano fino a 150 dollari al mese, ben 30 dollari in più rispetto alla polizia ufficiale.

In un paese in cui il reddito medio annuo è inferiore ai 500 dollari, una posizione così retribuita in modo relativamente alto ha un evidente fascino, soprattutto per coloro che sono già classificati come criminali.

Nel complesso, questa criminalizzazione dei cittadini afgani ha avuto due effetti indesiderati.

Il primo, quello di rafforzare i talebani, spingendo i cittadini afgani verso l’organizzazione.

Il secondo, quello di minare gli sforzi degli Stati Uniti per costruire un nuovo governo stabile.

Per molti afgani, le politiche statunitensi portano incertezza, disoccupazione e povertà, insomma, tutto l’esatto contrario della libertà e della prosperità economica.

Violenza e politica statunitense sulla droga in Afghanistan

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Anche la cartellizzazione dell’industria della droga in Afghanistan, come già successo negli Stati Uniti, ha visto un aumento della violenza.

Non esistono dati disponibili sui decessi relativi alle attività legate alla droga, ma la violenza nel paese è correlata alla produzione di oppio.

Per esempio, la violenza contro le truppe statunitensi raggiunge il picco durante i mesi in cui viene raccolto il papavero da oppio.

Sebbene l’attività legata alla droga non sia l’unica causa di violenza, sembra esistere una sottile connessione tra questa attività e la violenza contro le forze della coalizione.

Per esempio, le province più violente dell’Afghanistan, Helmand e Kandahar, sono anche le maggiori produttrici di papavero da oppio.

Sebbene i dati potrebbero non essere in grado di stabilire la causalità, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha prontamente riconosciuto il legame tra il traffico di droga afghano e la violenza, riferendo che:

Il commercio di oppio e l’insurrezione sono strettamente correlati. La coltivazione del papavero e la violenza dei ribelli sono correlate geograficamente.”

Altri studi empirici sulla relazione tra il commercio di oppio e l’attività terroristica presente in Afghanistan, effettuati tra il 1996 e il 2008, hanno scoperto che:

Le province che producono più oppio presentano livelli più elevati di attacchi terroristici e vittime a causa di terrorismo, e che la produzione di oppio è un predittore di terrorismo più robusto di quasi tutte le altre caratteristiche della provincia “

Come abbiamo già visto, la criminalizzazione di centinaia di migliaia di cittadini afgani aumenta ulteriormente la probabilità di violenza, poiché molte persone sono coinvolte nell’insurrezione dei talebani, e in uno sforzo comune, per proteggere la loro fonte di reddito.