Una molecola, simile al THC contenuto nella pianta di cannabis, è stata trovata nel costoso tartufo nero.

I clienti dei ristoranti in cui viene servita questa prelibatezza, come pure i buongustai, potrebbero quindi essersi già fatti senza volerlo, perché il tartufo nero sembra contenere delle sostanze psicoattive simili a quelle contenute nella canapa!

Grazie alla sua rarità, e ai suoi aromi unici di terra e di cacao, il tartufo nero è considerato il re dei cibi gourmet.

E quando vieni a scoprire che 100 grammi di tartufo nero possono arrivare a costare fino a 250 euro, allora sai benissimo che, a meno che tu non sia un milionario in cerca di stranezze, non lo troverai mai come ingrediente nel Mc’Donalds del tuo quartiere!

Trovata una molecola simile al THC nel tartufo nero: lo studio

tartufo nero cannabis

Ora però gli scienziati suggeriscono che il tartufo nero sia considerato un alimento pregiato non solo per i suoi sapori raffinati e per la sua rarità, ma anche per una sostanza che contiene (e che sarebbe il motivo per cui è così ricercato, e apprezzato, dai suoi consumatori).

I ricercatori dell’Università di Roma, in tempi recenti, hanno scoperto che il tartufo nero contiene l’anandamide, una “molecola dell’estasi” simile al THC che, quando viene consumata, provoca nel cervello il rilascio di sostanze chimiche legate al benessere.

Oltre a ciò, l’anandamide è nota per essere in grado di alleviare il dolore, i sintomi della depressione e infondere uno stato di assoluto relax.

Tutti effetti che, guarda caso, sono simili a quelli prodotti dal THC e degli altri composti della cannabis quando vengono assunti.

Anandamide: ecco come il tartufo nero produce la molecola dell’estasi

Ciò che è ancora più interessante, come hanno rivelato gli scienziati dell’Università di Roma, è che il tartufo nero non produce effettivamente l’anandamide per lui, poiché al contrario della cannabis, non ha ricettori ai quali la sostanza potrebbe legarsi.

L’ipotesi più plausibile, anche se a qualcuno potrebbe sembrare un po’ “disgustosa”, è che la sostanza venga prodotta dal tartufo per incoraggiare gli animali a mangiarlo, favorendo così la sua riproduzione e la diffusione delle sue spore tramite gli escrementi degli animali.

I tartufi, tradizionalmente, crescono allo stato selvatico in Europa, soprattutto in Paesi come la Francia e la Spagna.

Possono impiegare fino a dieci anni per maturare e sono molto difficili da trovare, motivo per cui i cercatori di tartufi spesso usano i nasi affilati di cani e di maiali per scovarli.

Il fatto che contengano un composto psicoattivo è una scoperta davvero notevole, che potrebbe spiegare perché i tartufi, in particolare quelli neri, siano così popolari tra i buongustai che possono permetterseli.

Non solo il tartufo nero: ecco 3 insospettabili che contengono delle sostanze simili al THC

tartufo nero

  • Kawa: conosciuta per i suoi effetti rilassanti e capaci di contrastare anche l’ansia, la kawa è molto utilizzata dalle popolazioni delle isole del Pacifico. Viene consumata sotto forma di bevanda, che dà degli effetti euforici, antidolorifici e sedativi. Questi effetti vengono prodotti principalmente dalla yangonina, una molecola che interagisce con i recettori CB1 che fanno parte del sistema endocannabinoide. È lo stesso legame che utilizza il THC per agire sul sistema nervoso centrale.
  • Rosmarino: il rosmarino, come il pepe nero e la cannabis, contiene del cariofillene (BCP). Il BCP, oltre ad avere un effetto antidepressivo, è un terpene che agisce nella stessa maniera di un cannabinoide. Se combinato con il THC o il CBD, questo terpene può aiutare a guarire non solo le ulcere nello stomaco, ma anche a sconfiggere una dipendenza.
  • Maca: la maca riproduce molti degli effetti del CBD, il principale composto della cannabis che non stona e dotato di numerose proprietà mediche. Una delle sue funzioni è quella di bloccare gli enzimi che rompono gli endocannabinoidi, ovvero i cannabinoidi prodotti dal corpo. Prevenendone la rottura, aumentano il loro numero nel corpo. L’effetto principale è una stabilizzazione dell’omeostasi, ovvero il mantenimento dei valori interni del proprio corpo.